C'era una volta a... Hollywood- Recensione spoiler
Il 18 settembre è uscito nei cinema italiani, dopo praticamente due
mesi dall’uscita in America, il nuovo e attesissimo film di Quentin
Tarantino, “C’era una volta a… Hollywood”, che vede come
protagonisti Leonardo DiCaprio e Brad Pitt accanto ad una magnifica
Margot Robbie.
Il film racconta la
storia di Rick Dalton, un attore dal passato abbastanza glorioso la
cui carriera sta giungendo al termine per colpa dell’alcolismo e di
alcuni film sbagliati; Rick è sempre in compagnia del suo stuntman,
Cliff Booth, personaggio decisamente complesso e intrigante. Accanto
a Rick Dalton, che in qualche modo rappresenta la “vecchia
Hollywood”, quella che verrà pian piano messa da parte, si
trasferisce una giovane coppia che rappresenta la “nuova
Hollywood”, la gioventù e il futuro dell’industria
cinematografica: il regista Roman Polanski e sua moglie Sharon Tate.
Mentre Rick è impegnato sul set, Cliff, che è stato momentaneamente
licenziato dal suo ruolo di stuntman a causa di una rissa, accompagna
a casa una ragazza che faceva autostop e, senza volerlo, si ritroverà
su un vecchio set in cui aveva lavorato e che era stato abbandonato
alla fine delle riprese; ora il set è occupato da una comune hyppie
guidata da un certo Charlie che altri non è che Charles Manson,
serial killer così bravo a manipolare le persone che farà compiere
alla sua “famiglia” omicidi estremamente violenti.
Il film è un
capolavoro metacinematografico: spesso vediamo Rick impegnato sul set
e questo significa che è stato creato un finto set cinematografico
sul vero set e che in più scene vediamo gli attori interpretare il
loro personaggio impegnato a recitare nei panni di un altro. Inutile
dire che questo tipo di scene è molto difficile da realizzare, ma
Tarantino è un grande regista che disponeva di grandi attori e il
risultato è incredibile.
Come aveva già
fatto in “Bastardi senza gloria”, anche in questo caso Tarantino
cambia il corso della storia: se nel film appena citato fa morire
Hitler in un attentato accuratamente organizzato, questa volta fa si
che la “Manson family” non vada a casa di Sharon Tate, bensì a
casa di Rick, dove verranno massacrati da Cliff; alla fine del film
vediamo proprio Rick andare a trovare la vicina, spaventata dagli
eventi accaduti a così poca distanza da casa sua e quest’ultimo la
rassicura e racconta la sua avventura. La differenza tra questo film
e “Bastardi senza gloria” sta nel fatto che nel secondo Tarantino
cambia totalmente la storia mentre in “C’era una volta a
Hollywood” la cambia senza cambiarla davvero: storicamente, l’8
agosto 1969 è avvenuto il massacro di Cielo Drive e nel film questo
massacro avviene, ma in modo diverso dalla realtà poiché ad essere
uccisi saranno i ragazzi della “Manson family” e il tutto non si
svolgerà a casa di Sharon Tate, ma di Rick Dalton, che però si
trova anche a Cielo Drive. La storia cambia senza cambiare davvero.
Per Tarantino il cinema è uno strumento per cambiare la storia e in
qualche modo rappresenta una rivincita contro il male della società,
una vera e propria rivincita dell’arte, spesso messa in secondo
piano rispetto all’economia nella nostra società, ma che ha un
potere sconfinato, se si sa come usarla.
Ho trovato super
interessante il discorso che fanno in macchina i ragazzi della
“Manson family” (tra i quali troviamo anche Tex Watson, il quale
uccise Sharon Tate nella realtà): i programmi tv mostrano da sempre
violenza in abbondanza e poiché, volenti o nolenti, la televisione
educa chi la guarda, se loro uccidono qualcuno è solo colpa di ciò
che gli è stato mostrato dalla tv. Un discorso volutamente
provocatorio che però ha del vero: chi è violento alla fine diventa
famoso ( e i serial killer, che in alcuni casi sono delle vere e
proprie celebrità, ne sono la prova) e quindi chi vuole fama
talvolta lo fa ricorrendo alla violenza; la provocatorietà di questa
frase sta anche nel fatto che i film di Tarantino sono famosi anche
per le scene violente che li caratterizzano e quindi in qualche modo
il regista mostra che guardare qualcosa di violento (molte delle
persone in sala sono suo grandi fan e hanno visto più volte tutta la
sua opera) non ti rende violento. Molti significati racchiusi in un
discorso di pochi minuti: ecco la genialità del regista.
In questo film
Tarantino rappresenta la Hollywood con cui è cresciuto, quella che
ha prodotto i film che gli hanno fatto amare il cinema e che lo hanno
convinto a diventare lui stesso un regista (nonostante lui abbia
detto più e più volte di amare follemente gli “spaghetti western”
e che il regista che più ama è l’italiano Sergio Leone) e la
rappresenta quasi come un mondo idilliaco, fatto di colori pastello
in cui incontri personaggi pieni di problemi che fingono vada tutto
bene, una specie di paradiso terrestre che in realtà è un piccolo
inferno. E poi c’è quella data, 8 agosto 1969, che in qualche modo
rappresenta la fine della Hollywood paradisiaca e del cinema con cui
è cresciuto il regista del film; in qualche modo, Sharon Tate
rappresenta tutto ciò: la Hollywood con cui è cresciuto Tarantino,
quella che ha prodotto i film che gli hanno fatto amare il cinema,
una Hollywood molto diversa da quella di oggi ed il fatto che lei non
venga uccisa dalla “Manson Family” ha un forte significato, quasi
come a dire “nonostante tutti gli orrori del mondo, il cinema alla
fine vive”. Inoltre “C’era una volta a Hollywood” spoglia una
“celebrità” del suo potere e la da ad un’altra: per quanto
terribile sia da dire, Charles Manson è una vera e propria celebrità
nel nostro mondo, ma non in quello creato da Tarantino, in cui è
appena una comparsa, dove non viene citato se non come Charlie; e a
rubargli la popolarità è proprio lui, Rick Dalton, il protagonista
del film la cui carriera sembra giungere alla fine: nonostante il
film finisca con Rick che viene invitato ad entrare da Sharon Tate,
viene facile immaginare che il marito di lei, il regista Roman
Polanski, gli offrirà un ruolo in un suo film e questo lancerà la
carriera di Rick. Mentre Manson non sarà mai nessuno.
Come hanno già detto in molti, "C'era una volta a Hollywood" è la lettera d'amore di Tarantino al cinema e sinceramente non poteva scriverne una migliore.
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